Alberto Manzi

Alberto Manzi

“Imparare a leggere e scrivere per conoscere tutto il resto dell'umanità”.

Quale augurio migliore di queste parole di Alberto Manzi per il primo giorno di scuola?

Alberto Manzi non è solo il maestro che ha insegnato a leggere e scrivere agli italiani, quando in un’Italia piena di belle speranze ma ancora poco alfabetizzata, condusse il programma “Non è mai troppo tardi”. Andato in onda dal 1960 al 1968, è sicuramente un capolavoro di pedagogia, premiato e imitato in altri settantadue paesi, espressione massima della Rai come servizio pubblico.

Alberto Manzi è molto di più.

È un maestro che ha la vocazione dell’insegnamento e non ha paura di iniziare dalle aule più difficili: dopo la guerra, nel 1946, accetta l’incarico, che altri prima di lui avevano rifiutato, di insegnare nel carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma. Non è semplice: in un enorme stanzone senza banchi, senza sedie, senza nemmeno libri, sono riuniti bambini e ragazzi tra i 9 e i 17 anni con storie terribili alle spalle. Ma Alberto Manzi non si perde d’animo e alla fine riesce a guadagnare la loro fiducia inventando e sperimentando metodi didattici innovativi. Racconta storie e le fa raccontare e recitare ai ragazzi. Insieme pubblicano “La tradotta”, il giornale del carcere, un modo per tirar fuori le emozioni di questi ragazzi che troppo presto hanno conosciuto la durezza della vita.

È un maestro che dal 1955 fino al 1977 trascorre le sue estati in Sud America. All’inizio nella foresta amazzonica con un incarico dell’università di Ginevra per studiare le formiche (Alberto Manzi era anche laureato in biologia oltre che in pedagogia e filosofia). Poi si sposta in Perù e in Bolivia, dove capisce che per gli indios è fondamentale l’istruzione per reagire alle ingiustizie e ai soprusi. Ma non si limita ad insegnare a leggere e scrivere. Li aiuta a costituirsi in piccole cooperative agricole, a organizzarsi per non essere sfruttati. Quindi si attira le antipatie delle autorità che lo dichiarano persona non gradita. Ma lui continuerà ad andarci lo stesso.

È un maestro che capisce le potenzialità dei mezzi di comunicazione e oltre al celebre “Non è mai troppo tardi” e altri programmi nel corso degli anni, usa anche la radio per raccontare storie, insegnare a grandi e piccoli, o meglio come disse lui: “Non insegnavo a leggere e scrivere: invogliavo la gente a leggere e a scrivere”.

È un maestro scrittore e poeta, e per le sue opere avrà molti premi e riconoscimenti.

È un maestro che insegna all’università, ma poi la lascia per dedicarsi alla scuola elementare “Fratelli Bandiera” di Roma, dove resterà fino alla pensione.

È un maestro che scrive alle istituzioni, per protestare contro una scuola considerata inadeguata, fredda, sorda alle esigenze dei bambini. Tanto insofferente alle categorie asettiche della scuola, che nel 1981 Manzi si rifiuta di compilare le schede di valutazione: “Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest'anno, l'abbiamo bollato per i prossimi anni”. Davanti alle pressioni del Ministero della Pubblica Istruzione, l’anno successivo apporrà un timbro su ogni scheda: “fa quel che può, quel che non può non fa”.

È un maestro ormai anziano e in pensione, ma che sa sempre che l’istruzione è l’unico antidoto alla violenza e all’ingiustizia, e quindi nel 1992 realizza un programma per la RAI: “Impariamo insieme” per insegnare l’italiano agli extracomunitari.

È un maestro che non smette mai di credere nel potere dell’istruzione e nella forza dei bambini, ai quali diceva “Siete capaci di camminare da soli a testa alta, perché nessuno di voi è incapace di farlo”.

Non è mai troppo tardi per ricordare Alberto Manzi, maestro speciale.

Ed è di buon augurio ricordarlo oggi, ancora, all’inizio di un nuovo anno scolastico… Buona scuola a tutti!